L’11 giugno scorso il nostro studio ha partecipato alla “maratona oratoria” organizzata dall’Unione delle Camere Penali italiane. L’obiettivo era quello di rendere note alla comunità le attuali condizioni di detenzione sia a livello locale che nazionale. Proprio a causa di tali condizioni molte persone detenute (44) – per lo più ragazzi giovani – hanno deciso di togliersi la vita.
Dopo aver ascoltato la Presidente della Camera Penale di Brescia, l’avv. Veronica Zanotti, leggere i nomi di queste persone, noi avvocati, i rappresentanti del Comune e del terzo settore abbiamo letto alcune riflessioni in tema di detenzione e diritti delle persone detenute.
Ecco la mia riflessione: l’art. 27, comma terzo, Cost. prevede che le pene non possano consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e debbano tendere alla rieducazione del condannato. Al termine rieducazione la Corte costituzionale ormai da tempo affianca il termine risocializzazione. La pena, quindi, deve tendere alla rieducazione e alla risocializzazione del condannato. Questo significa che è lo Stato a doversi occupare del nuovo ingresso nella società di una persona detenuta, ovviamente con la sua collaborazione. Il paradosso, però, è che si pensa di rieducare e risocializzare qualcuno tenendolo chiuso in un luogo che nulla ha a che vedere con la società in cui tornerà a vivere. La stessa che, nel frattempo, è cambiata e progredita e alla quale chi esce dal carcere deve adeguarsi nel più breve tempo possibile.
William Frediani, un ex detenuto, nel suo libro Un universo di acciaio e di cemento racconta le sensazioni, le paure e le speranze di chi esce dal carcere: «negli anni della detenzione, il linguaggio della società civile si è evoluto, la tecnologia ha prodotto strumenti nuovi mai visti. Il prigioniero, nel frattempo, ha impoverito il suo linguaggio per la scarsità dei rapporti sociali, lo ha involgarito con un repertorio da retroscena e riempito di frasi fatte. Ha perso ogni dimestichezza con le passate conoscenze tecnologiche, ammesso che ne avesse, le quali inoltre sono state superate dai tempi. Con l’avvicinarsi della dimissione, il liberando si rende conto di quanto è stato paurosamente profondo e radicale il processo di dis-culturazione a cui è stato sottoposto».
Sempre secondo Frediani, «lo stigma sociale nei confronti dei soggetti detenuti è un fenomeno particolarmente diffuso. Tale stigma, però, non è solo esterno, ma anche interno all’individuo precedentemente recluso. Quest’ultimo si continuerà a chiedere se e come potrà vivere di nuovo all’interno di quella stessa società che ha ferito e, soprattutto, se le persone si accorgeranno di ciò che ha vissuto». E ciò che ha vissuto consiste in condizioni di detenzione contrarie al senso di umanità e prive di dignità.
A conclusione della maratona oratoria iniziata lo scorso 29 maggio, con cui si è inteso denunciare pubblicamente tanto la mancanza di un programma di serie riforme strutturali e di ripensamento dell’intera esecuzione penale, quanto l’irresponsabile indifferenza della politica di fronte al dramma del sovraffollamento ed alla tragedia dei fenomeni suicidari, l’Unione ha deliberato l’astensione dalle udienze e da ogni attività giudiziaria nel settore penale per i giorni 10, 11e 12 luglio 2024.
Scritto da: avv. Camilla Riefoli