Nell’impossibilità di incontrarsi di persona, è stato attraverso l’invio di una lettera scritta personalmente dal nostro giovane assistito (che ha avuto modo di meditare sullo sbaglio commesso e di porgere le sue scuse all’anziana persona offesa dal reato) che la mediazione penale minorile di cui vi abbiamo parlato in uno dei nostri ultimi blog ha avuto esito positivo, proprio in forza dell’intervenuta composizione dei rapporti tra minore e vittima del reato.
E così, alla luce dell’esito positivo della mediazione penale (ricordiamo che solo del risultato finale, positivo o negativo, viene a conoscenza l’Autorità Giudiziaria) e del connesso implicito raggiungimento della finalità rieducativa che caratterizza l’istituto, l’udienza che si è tenuta alcuni giorni fa avanti il Tribunale per i Minorenni di Brescia si è conclusa con un ottimo risultato che ci ha riempiti di soddisfazione: è stata infatti pronunciata sentenza di non doversi procedere (ossia di proscioglimento) “per non raggiunta capacità di intendere e di volere al momento del fatto per immaturità”.
Ai sensi dell’art. 9 D.P.R. n. 448/1988, infatti, il pubblico ministero e il Tribunale acquisiscono “elementi circa le condizioni e le risorse personali, familiari, sociali e ambientali del minorenne al fine di accertarne l’imputabilità e il grado di responsabilità”. Agli stessi fini, possono sempre essere assunte informazioni da persone che abbiano avuto rapporti con il minorenne e può essere sentito il parere di esperti “senza alcuna formalità”.
In sostanza, ai fini dell’accertamento della capacità di intendere e di volere del minore e dunque della sua imputabilità, valore preminente deve riconoscersi, anzitutto, alla natura del fatto criminoso e alle sue modalità esecutive, esaminate in considerazione dell’età del minorenne al momento dei fatti.
E’ importante evidenziare che uno stesso soggetto potrebbe aver raggiunto una piena capacità di intendere in ordine a certi rapporti della vita associata, ma non ancora in ordine a certi altri, con diretta influenza sul reato commesso.
La “maturità mentale” del minore ultraquattordicenne è, infatti, un concetto a carattere relativo, in quanto sempre correlato alle caratteristiche del reato commesso e alla capacità del soggetto di percepire il disvalore etico-sociale delle proprie azioni.
Ma qual è il ruolo del difensore in tutto questo?
Non vi è dubbio che la capacità del minorenne di orientarsi negli sviluppi del processo a proprio carico sia certamente ridotta.
Dev’essere pertanto potenziato il ruolo del difensore che ha il compito di assistenza tecnica: spiegare al proprio giovane assistito il contenuto e le ragioni, anche etico-sociali, delle scelte processuali e delle decisioni che verranno prese; e ciò, ancor più nel caso della difesa di ufficio: il Consiglio dell’Ordine degli avvocati predispone e aggiorna periodicamente gli elenchi dei difensori disponibili, che debbano avere una specifica preparazione nel diritto minorile, anche organizzando annualmente corsi di aggiornamento per i difensori di ufficio nelle materie attinenti il diritto minorile e le problematiche dell’età evolutiva.
Se quella offerta dal difensore è essenzialmente assistenza tecnica, a questa dovrà affiancarsi un’assistenza affettiva e psicologica (demandata in primis ai genitori del minore), oltre che un’attività di sostegno, fornita dai servizi, sia quelli dell’amministrazione della giustizia (USSM), sia quelli degli enti locali, per porre in essere un’attività integrata, sia nell’area processuale (da parte dei primi), sia nell’area socio-assistenziale (da parte dei secondi).
Scritto da avvocato Luisa Morelli.