Sul finire dell’anno che ci siamo da poco lasciati alle spalle abbiamo letto con favore e soddisfazione l’introduzione dell’art. 177 bis nel codice penale, attraverso l’approvazione della nuova legge di bilancio (legge 30.12.2020 n. 178 in Gazzetta Ufficiale N. 322 del 30.12.2020).
Si tratta di una scelta normativa che premia l’iniziativa dell’On. Enrico Costa e che, finalmente e per la prima volta, stabilisce che all’imputato assolto spetta un ristoro, seppure sotto il profilo di un parziale rimborso delle spese legali, da parte dello Stato che ne ha riconosciuto l’innocenza all’esito di un processo penale.
A tal fine viene stabilito lo stanziamento, da quest’anno, di un fondo pari a otto milioni di euro l’anno. Agli aventi diritto sarà riconosciuto un contributo al rimborso delle spese legali fino ad un massimo di 10.500 euro, in tre quote annuali di pari importo.
L’imputato che intenda accedere alla misura è tenuto al rispetto di diversi requisiti.
Innanzitutto è necessario che sia stato assolto con formula piena (ossia perché il fatto non sussiste, perché l’imputato non lo ha commesso, perché il fatto non costituisce reato o perché non è previsto dalla legge come reato), sulla base di quanto previsto dall’art. 530 comma I c.p.
In secondo luogo, la sentenza che assolve l’imputato deve essere divenuta irrevocabile, vale a dire non più suscettibile di ulteriori impugnazioni.
Infine, dovrà essere presentata la fattura del difensore (con relativa quietanza di pagamento) e il parere di congruità del compenso emesso dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati competente.
L’effettivo importo del rimborso verrà calcolato tenendo conto anche dei gradi di giudizio affrontati dall’imputato e della durata complessiva del processo; i diversi criteri verranno dettagliati con decreto del Ministero della Giustizia.
Non si avrà invece diritto ad alcun rimborso in caso di assoluzione per alcuni capi d’imputazione ma di condanna per altri (sempre in riferimento ad un medesimo processo), di estinzione del reato per amnistia o per prescrizione o di depenalizzazione dei fatti oggetto di imputazione.
Si tratta certamente di uno strumento di innegabile valore, in favore di chi si trovi ingiustamente sottoposto ad un processo penale che, il più delle volte, si rivela un percorso lungo, farraginoso e sofferto, e che potrà così trovare ristoro (almeno parzialmente) a quanto patito anche se, per la verità, il fondo istituito non risulta di fatto adeguato nel suo ammontare se rapportato alla mole dei processi penali esistenti.
Al di là di ciò, l’intenzione del legislatore è quella di colmare un’evidente lacuna che differenzia il processo penale da quello civile e amministrativo.
Infatti, in ambito penale non viene applicato il cd. principio della soccombenza, secondo il quale colui che abbia dato impulso a un iter giudiziario e la cui pretesa si riveli poi infondata è tenuto alla rifusione delle spese legali in favore della controparte vittoriosa.
Se quindi lo Stato, attraverso il principio di obbligatorietà dell’azione penale, costringe il singolo ad affrontare un processo penale che si dovesse poi concludere con l’accertamento della non colpevolezza dell’imputato, è sacrosanto che si faccia quantomeno carico del pregiudizio economico da quest’ultimo sostenuto per far fronte alle spese per la propria difesa, diritto irrinunciabile per ciascun cittadino sottoposto a procedimento penale.
La strada intrapresa è quella giusta, ma siamo solo all’inizio: come evidenziato anche dall’Unione delle Camere Penali Italiane, ora il Parlamento deve procedere al più presto con la separazione delle carriere dei magistrati per garantire l’effettiva terzietà del giudice e con la reintroduzione della prescrizione per impedire che il processo non finisca mai.
Scritto da avvocato Luisa Morelli