Ad aprile dello scorso anno vi avevamo parlato del libro intitolato “Il giudice emotivo. La decisione tra ragione ed emozione”, scritto da Antonio Forza, con Giulia Menegon e Rino Rumiati.
Lo scorso 8 aprile abbiamo avuto la fortuna di partecipare ad un convegno (naturalmente da remoto) organizzato dalla Camera Penale di Modena, in cui, tra i relatori, vi era proprio l’avv. Antonio Forza, ottimo esperto di neuroscienze cognitive, oltre che Collega di grande esperienza del Foro di Venezia.
L’avv. Forza, che è anche docente di Psicopatologia e Neuropsicologia Forense all’Università di Padova, ha anzitutto affrontato il tema di “mente umana” dal punto di vista delle neuroscienze cognitive, un concetto molto più ampio di quello che viene attribuito dai giuristi: mentre per questi si tratta di razionalità, contrapposta all’emozione, per le neuroscienze cognitive coincide piuttosto con il “pensiero deliberato”, conscio e vigile, su cui tuttavia prevale sempre l’ “inconscio cognitivo”.
E così i processi decisionali e di ragionamento sono fortemente condizionati dalle emozioni, dall’istinto, dalle pulsioni, con difficoltà di distinzione.
Secondo la “Teoria dei due sistemi” la mente è regolata dal sistema euristico (Sistema 1) e dal sistema analitico (Sistema 2): il primo è caratterizzato da modalità rapide, automatiche, impulsive, intuitive, per nulla impegnative in termini di sforzo razionale; il secondo è caratterizzato da processi consapevoli, più lenti e ponderati e quindi più faticosi.
Ebbene, le decisioni vengono sempre prese dal Sistema 1: il Sistema 2 interviene, semmai, solo in un secondo momento, ma fatica a prevalere, spesso sopraffatto dal primo che continua a produrre sollecitazioni.
Sono stati quindi analizzati e presi in considerazione i numerosi “bias”, tendenze sistemiche della mente umana a formulare interpretazioni arbitrarie, distorsioni, stereotipi, pregiudizi, trappole mentali, insomma, errori di valutazione e di ragionamento.
Il pericolo di incorrere in bias, in una “tunnel vision” (paraocchi della mente) non è tipico solo del processo penale in sè, ma vi si può incorrere fin anche dalla fase delle indagini preliminari (soprattutto per i consulenti del p.m., gli operatori delle intercettazioni telefoniche ecc.) con il grave rischio di cadere in fallacie che si sedimentano poi nel processo (si pensi alla tendenza di verificazionismo).
Evitare tutto questo si può: è necessario, secondo l’avv. Forza, sorvegliare i processi del pensiero e questo è possibile solo attraverso la formazione, attraverso lo studio dei metodi per limitare al massimo gli errori cognitivi.
Già Bacone, nel 1620, aveva capito tutto questo: “L’intelletto umano, quando abbia adottato una certa concezione (o perché ricevuta da altri e ritenuta vera, o perché soddisfacente), induce anche tutto il resto a convalidarla e ad accordarsi con essa. Anche se la forza e il numero delle istanze contrarie sono maggiori, tuttavia, o non le considera o le disprezza o, introducendovi delle distinzioni, le rimuove e le respinge, non senza grave e dannoso pregiudizio, pur di mantenere inviolata l’autorità di quelle prime concezioni”
(da “Novum organum”, Bacone, 1620).
Brillante come sempre, poi, l’intervento del Prof. Dott. Giovanni Canzio (già Primo Presidente Emerito della Corte di Cassazione) che ha evidenziato la necessità del nostro sistema di porre precisi confini di legalità alle operazioni valutative e decisorie del giudice: questa esigenza è pienamente soddisfatta dai principi costituzionali che regolano il “giusto processo” (art. 111 Cost.): pensiamo alla presunzione di innocenza dell’imputato (spetta solo all’accusa provare la fondatezza delle sue ipotesi accusatorie); al diritto della difesa alla controprova (al fine di suscitare il dubbio nel giudicante e ipotizzare schemi alternativi); all’obbligo di motivazione della sentenza (con un preciso percorso logico-giuridico di ragionamento probatorio del giudice); soprattutto, si pensi al sacrosanto principio dell’ “oltre ogni ragionevole dubbio”, come regola di giudizio (e di civiltà), che rappresenta il limite alla libertà di convincimento del giudice per evitare che l’esito del processo sia rimesso ad apprezzamenti soggettivi discrezionali o arbitrari (i “bias” appunto).
Solo se c’è massima consapevolezza delle euristiche fuorvianti, queste possono essere superate.
Scritto da avvocato Luisa Morelli