La sera di giovedì 27 agosto, a Istanbul, è morta all’età di 42 anni Ebru Timtik, avvocata turca, in seguito ad uno sciopero della fame durato 238 giorni messo in atto per protestare contro le violazioni dei diritti umani perpetrate in Turchia.
Ebru Timtik si trovava in carcere perché ritenuta colpevole, in primo grado, del delitto di terrorismo: era stata condannata, in quello che si potrebbe definire un processo-farsa, a tredici anni e sei mesi di reclusione. In attesa dell’appello e ritenendo di essere stata condannata in seguito ad un processo iniquo, Timtik aveva iniziato lo sciopero della fame nel febbraio del 2020, per sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale su quanto avveniva in Turchia: in seguito al fallito golpe del 2016, la riforma del codice penale aveva inteso utilizzare il reato di terrorismo per colpire chiunque non fosse d’accordo con le politiche del Governo; inoltre, già da tempo l’imparzialità e l’indipendenza della magistratura turca era messa a dura prova dalle interferenze governative, ed anche da parte dello stesso presidente Erdogan.
La storia di Ebru Timtik è emblematica: dopo essere stata prelevata a forza alla fine del 2017 con altri 15 avvocati dell’associazione avvocati progressisti Cagdas Hukukcular Dernegi (Chd), era stata considerata affiliata all’organizzazione Dhkp-C per aver difeso due insegnanti accusate a loro volta di farne parte. Tale gruppo è considerato un’organizzazione terroristica da parte del governo turco, oltre che dagli Stati Uniti e dall’Unione Europea.
Nel 2018 Ebru Timtik era stata rilasciata, in seguito alla mancata conferma da parte del giudice incaricato del caso del reato di terrorismo. Poche ore dopo il suo rilascio però, è stata prelevata nuovamente dalla polizia, assieme ad altri otto colleghi avvocati, e accusata nuovamente di terrorismo. In questa fase si compiono quelle procedure irregolari che Timtik voleva denucniare: il nuovo processo era stato condotto da un sostituto del primo giudice, destituito proprio a seguito del rilascio dell’attivista; inoltre, il nuovo giudice aveva accettato testimonianze anonime e vietato la presenza dei difensori degli accusati, violando totalmente il diritto al contraddittorio. Date queste condizioni, l’accusa di terrorismo venne confermata e Ebru Timtik venne condannata a tredici anni e sei mesi di reclusione.
Lo sciopero della fame iniziato – e tristemente portato alle sue estreme conseguenze – dalla attivista turca (a cui si è aggiunto il collega Aytac Unsal, in sciopero da 209 giorni e rafforzato ancor di più nel suo intento in seguito alla morte della collega) aveva lo scopo di accendere i riflettori sulla propria storia ma non solo: un altro tema su cui voleva portare l’attenzione era anche quello delle condizioni di mancata dignità che oltre 300 avvocati stavano vivendo nelle carceri turche. Nei primi mesi dell’anno 13 presidenti di Ordini forensi turchi sono stati arrestati o portati a processo per terrorismo; anche il presidente di Amnesty Turchia è sotto processo, con la medesima accusa.
Altri attivisti, nel tentativo di salvare la vita alla donna, si erano rivolti alla Corte costituzionale, chiedendo la scarcerazione per motivi di salute. A fine luglio i due avvocati sono stati trasferiti in ospedale. Ma a metà agosto la Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando la detenzione perché i due detenuti non sarebbero stati in pericolo grave. Dopo 27 giorni di ricovero forzato e arrivando a pesare circa trenta chili, Ebru Timtik è morta.
La terribile storia di Ebru Timtik deve portarci ad una riflessione: non bisogna mai dare per scontati i diritti e le libertà fondamentali. La storia di questo sacrificio – perché di sacrificio si tratta – si è svolta sull’uscio di casa dell’Europa: la Turchia, pur non facendo parte dell’Unione Europea, è uno Stato membro del Consiglio d’Europa ed è quindi anche inserita nel circuito della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Una tale vicenda è inaccettabile in un contesto di questo tipo e evidenzia una questione: quando si parla di diritti e libertà non ci si può fermare alle garanzie formali; i diritti e le libertà, per avere un senso, vanno garantiti concretamente. Se ciò viene meno, gesti quali quello di Ebru Timtik diventano necessari. Per dirla con Brecht, “Sventurata la terra che ha bisogno di eroi”.
Ricordiamo Ebru con le parole del Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Istanbul: «Noi siamo avvocati, non veneriamo il potere, non ci pieghiamo di fronte alla tirannia e alle pressioni, non ci poniamo sotto il comando di nessun governo. Noi siamo avvocati. Non siamo né commercianti, né uomini d’affari. Noi rappresentiamo il popolo nei processi. Noi siamo avvocati, ci schieriamo a difesa, senza far passare sul nostro corpo nessun individuo».
Scritto da avvocato Luisa Morelli