Luisa Morelli scrive il suo Blog

Le neuroscienze: una risorsa preziosa per il processo penale e per una giustizia più giusta

Lo scorso 15 luglio la Corte di Appello di Brescia, con una sentenza rivoluzionaria, di cui attendiamo impazienti il deposito delle motivazioni, ha annullato, per non aver commesso il fatto, una sentenza definitiva di condanna a quattro anni di reclusione, emessa nel 2016, nei confronti di un uomo cui era contestato di aver concorso, fotografandole, nelle violenze sessuali asseritamente commesse dal compagno nei confronti della nipotina di quest’ultimo.

A tale risultato, che ha messo fine ad una vicenda umana tanto dolorosa, in quanto l’accusato era stato condannato ingiustamente e stava quindi scontando da innocente la propria condanna ormai definitiva, si è giunti attraverso la richiesta di revisione che il difensore, l’Avv. Prof. Guglielmo Gulotta, figura di spicco nel mondo della psicologia giuridica forense e Collega di grande preparazione ed esperienza, ha fondato anche [1] su una prova del tutto rivoluzionaria: l’approccio neuroscientifico del metodo a-IAT, sviluppato in questi ultimi anni dal team interdisciplinare da lui guidato e facente capo al Prof. Giuseppe Sartori, docente di Neuroscienze forensi e Neuropsicologia forense all’Università di Padova, e al Prof. Pietro Pietrini, psichiatra e neuroscienziato, direttore della Scuola IMT di Lucca.

Il metodo a-IAT (acronimo di “autobiographical Implicit Association Test”) è uno strumento che è stato sviluppato per studiare la forza dei legami associativi tra diversi concetti rappresentati nella nostra memoria. Si tratta di una prova computerizzata basata sulla registrazione dei tempi di reazione della mente umana: sul monitor compare uno stimolo e al soggetto viene chiesto di classificarlo, nel modo più veloce e più accurato possibile. In altre parole, ogni volta che compare uno degli stimoli, il candidato deve ricondurlo alla categoria di riferimento, avendo a disposizione due soli tasti e, quindi, due sole categorie di risposta.

Questo metodo si basa sull’idea di fondo secondo la quale dovrebbe essere più facile – e quindi più rapido – associare un concetto e un attributo quando questi sono fortemente correlati in memoria. 

Dalla velocità di risposta si ricava, senza che il soggetto lo dica esplicitamente, qual è il vero ricordo.

Come spiega il Prof. Sartori, è un test molto attendibile poiché si misura indirettamente il ricordo autobiografico, senza chiedere una risposta diretta alla domanda di interesse. Il soggetto esaminato deve rispondere a domande categorizzate, la prova è congegnata in modo tale da creare “un conflitto cognitivo” per le frasi corrispondenti al ricordo falso ed in modo tale da creare, viceversa, “una facilitazione” per le frasi che rappresentano un ricordo vero.

In questo modo il Test di Associazione Implicita permette di accertare, con buon grado di attendibilità, se esiste una traccia mnestica del ricordo di interesse per il processo.

È importante evidenziare che l’interpretazione del risultato raggiunto è automatica, algoritmica: chiunque sui medesimi dati di partenza ottiene i medesimi risultati, poiché si tratta di una prova “operatore-indipendente”.

È quindi certamente un metodo che garantisce l’obiettività del risultato.

Secondo il Prof. Pietrini, in ambito peritale le neuroscienze forniscono “uno strumento oggettivo che serve a ridurre il grado di variabilità soggettiva nell’interpretazione dei dati”, posto che “il computer rileva scarti di millesimo di secondo” e servirebbe quindi un allenamento specifico per tentare di variare la velocità delle proprie risposte in modo che il programma non se ne accorga. 

Ed è stato proprio l’esito della somministrazione dello a-IAT al condannato di cui vi stiamo parlando a farla da protagonista nel processo di revisione conclusosi qualche giorno fa, nella nostra Corte di Appello, con l’assoluzione piena dello stesso.

La Corte, vincendo la consueta diffidenza per questo genere di prova scientifica, ha nominato a sua volta come proprio perito la Prof.ssa Michela Balconi, docente di Neuropsicologia e Neuroscienze cognitive all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, al fine di valutare se il metodo utilizzato dal Prof. Sartori sia dotato di affidabilità e se sia approvato dalla comunità scientifica: la perizia fornita dalla Prof.ssa Balconi ha confermato che la a-IAT è “misura atta a verificare se uno specifico episodio o fatto sia presente come memoria vera o falsa nella mente del soggetto” e nella memoria autobiografica del condannato non risulta esistere traccia alcuna dei fatti che gli sono stati contestati.    

Questo il motivo della sua assoluzione per non aver commesso il fatto.


[1]     La richiesta di revisione si fondava anche sul contenuto di una lettera lasciata dal compagno dell’uomo, poi suicidatosi, che di fatto lo scagionava. 

Scritto da avvocato Luisa Morelli