Con la riforma della prescrizione del reato (legge 9 gennaio 2019 n. 3, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 16 gennaio 2019 ma entrata in vigore in differita lo scorso 1° gennaio), è stato introdotto nel nostro sistema penale un principio assai discutibile, senz’altro dannoso e peraltro inutile: il corso della prescrizione rimane “sospeso” dal momento della pronuncia della sentenza di primo grado (o del decreto penale di condanna) fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o dell’irrevocabilità del decreto di condanna.
Invero, più che di “sospensione del corso della prescrizione” si deve parlare di un vero e proprio blocco del corso della prescrizione del reato dopo la pronuncia della sentenza di primo grado, indipendentemente dall’esito, assolutorio o di condanna e, pertanto, di una vera e propria abolizione dell’istituto della prescrizione del reato che non potrà più maturare in appello o in cassazione.
Ciò significa che ciascun cittadino, sia esso imputato o persona offesa dal reato, una volta superato il primo grado di giudizio, rimarrà in balìa della giustizia fino a quando e solo se lo Stato avrà modo di definire il processo che lo riguarda in una delle vesti di cui sopra, con impatti comprensibilmente devastanti sulla vita delle persone in ogni caso, ma soprattutto laddove si trovino ad attendere l’esito del processo in veste di imputati innocenti.
Intervenire in tal modo sul decorso del termine prescrizionale, piuttosto che, come sarebbe stato opportuno, sulle vere cause della durata dei processi penali, apre in tutta evidenza a scenari inquietanti: numerosi sono infatti i principi costituzionali correlati al “giusto processo” che in tal modo vengono palesemente violati: il principio della ragionevole durata del processo, anzitutto, ma anche la presunzione di innocenza, il diritto di difesa e la finalità rieducativa della pena… Se si spazzano via regole e principi fondamentali, i danni non possono che essere enormi.
L’irrazionalità e l’inutilità dell’intervento sono peraltro dimostrate anche dai dati statistici diffusi dal ministero: il 75% delle prescrizioni matura prima di una sentenza di primo grado, con la conseguenza pratica che la riforma avrà di fatto un impatto minimo; ancora: il 95% delle prescrizioni riguarda reati di scarso allarme sociale, posto che i reati più gravi o di maggior allarme sociale non si prescrivono mai prima dei 15, 20 o persino 50 anni (senza tener conto di quelli imprescrittibili in quanto puniti con l’ergastolo).
Scritto da avvocato Luisa Morelli